venerdì, Aprile 19, 2024
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Jaka, reggae marsalese giamaicano d’adozione. La sua musica apprezzata nel mondo

Jaka è un fiume in piena, gorgoglia, straripa, esonda dall’alveo che non può contenere tanta energia, tanto impeto. L’artista è fuoco e terra. Ariete e toro come lui stesso ama definirsi ridendo, un autentico cuspide, ben consapevole che astrologicamente parlando è impegnativo esserlo. Arriva all’appuntamento puntualissimo, meticoloso, vestito come un ragazzino: smanicato e pantaloni mimetici da soldato, lui che odia la guerra e le armi. Un evergreen diresti, un eterno ragazzo con i lunghi capelli rasta che parlano per lui e di lui, e che anticipano, parte del suo modo di essere. Di cosa vuoi parlare? È lui a chiedermelo, anticipandomi, col suo modo di fare comunicativo, anzi da comunicatore nato com’è.
Jaka, sappi che io non amo fare domande anche se faccio interviste. Non faccio domande ma ottengo ugualmente le risposte.
Mi guarda e ride nuovamente. «Bella tecnica. mi piace». E aggiunge un po’ preoccupato, ma parleremo di musica no? Certo che ne parleremo. Trenta anni di carriera, concerti in tutto il mondo, collaborazioni importanti, come potremmo non parlarne? Tu sei musica e si vede. In ogni tuo gesto, in ogni parola che usi c’è musica.
Tu sei musica. Sei reggae? sei soul? sei rap?
«Non amo le categorie e mi stanno strette le definizioni. Quando qualcuno ti etichetta e ti inserisce in una categoria è come se ti costringesse a starci. Per un artista è un limite. È uno stereotipo da cui rifuggo. Sono un uomo che ama la musica, tutta la musica, di tutti i generi. Sono un appassionato di musica. Io spazio fra tantissimi generi musicali. Soul, rap, reggae, musica tradizionale siciliana. Appartengo alla prima generazione dei rimatori fra italiano e dialetto in una fusione limpidissima e cocente».
Ami le contaminazioni?
«Oddio, questa parola non mi piace. Contaminazione mi fa pensare ad una malattia, ad una cosa contaminata. Anche se noi continuamente etichettiamo le cose, in realtà le cose di per sé non esistono. Le cose esistono in relazione a qualcos’altro. Penso al rock per esempio. Il rock discende dal blues e dal country western che a sua volta discende dai balli irlandesi. Mi piace più la parola influenza che contaminazione».
Giusto per restare in tema di “malattie” usi il termine influenza.
Ci mettiamo a ridere perché anche a lui la parola influenza fa meno impressione di contaminazione.
Dunque, ricapitolando, tutta la musica non è pura ed è bello attingere qua e là, giusto? È, come direbbero gli addetti ai lavori, un work in progress continuo, un eterno divenire.
«Vedi Tiziana, ho fatto studi classici e credo siano stati fondamentali. Studiare filosofia è importante. Ti induce a pensare, forma le esistenze, aiuta a comunicare. A me, ad esempio, non piace l’aspetto egoico del rap. Mi piace quando è usato per comunicare e non per glorificare sé stessi. Serve a infondere positività, a parlare di progetti, a capire quello che non va per cambiarlo non per autocompiacersi delle cose che non vanno. Energie positive, questo dovrebbe divulgare un artista. Io sento tutta la responsabilità dell’artista che parla ai giovani. Viviamo un tempo in cui per essere felici dobbiamo avere, possedere sempre di più. I mercati vogliono questo. Ci infondono il desiderio delle cose attraverso la pubblicità. E se anche comprassimo tutto, non basterebbe a renderci soddisfatti. Troveremmo comunque il modo di essere infelici perché privi sempre di qualcosa. In realtà la felicità è dentro di noi e abbiamo bisogno di ben poche cose, dell’essenziale. Il desiderio è un pozzo senza fondo. È l’attaccamento alle cose che ci rende infelici. Sia alle cose che agli oggetti. È un bisogno questo destinato a non essere mai completamente soddisfatto».
Che rapporto hai con la religone?
«Le religioni rispondono all’esigenza che l’essere umano ha di credere o di aggrapparsi alle speranze e alle certezze. La religione dovrebbe essere uno strumento per evolversi. Purtroppo ci sono in giro troppi fanatici. Il fanatismo è l’antitesi della spiritualità. Io mi sento e sono molto spirituale».
Sei o comunque ti senti vicino, al rastafarianesimo? Per te cos’è? È una religione? È un modo di vivere e concepire il mondo?
«Il rastafarianesimo è qualcosa di talmente magmatico, di così aperto che è difficile inquadrarlo come religione. Ti insegna a liberarti di tutti gli orpelli inutili e cercare di vivere a contatto con la Natura e i suoi elementi. Abito per buona parte dell’anno a Tenerife. Sole, mare, oceano per l’esattezza, profondo e nerissimo, di cui senti tutto il ringhio feroce e l’impeto del profondo, dell’immensità. Non è materno l’oceano, non è il nostro Mediterraneo. È furente e senza soluzione. Tenerife è un’isola in mezzo a tutto questo. Tutti gli elementi sono estremi, forti, esagerati. Forse tutto questo è necessario per creare. Del raggae mi piace l’amore verso tutti gli esseri viventi, l’amore per la giustizia sociale, la comprensione verso chi soffre e la speranza del miglioramento. Il reggae esprime la positività. Una canzone di Bob Marley, ascoltata al superclassifica show, mi folgorò. Era così diversa da tutte le altre! Mi spinse ad approfondire. Avevo circa dieci anni».
Che padre sei?
Ah beh questo bisognerebbe chiederlo alle mie figlie. E ride gettando la testa all’indietro».
Allora riformulo la domanda. Cosa hai insegnato loro?
«Innanzitutto il rispetto per gli altri e per sé stesse e a rispettare le regole. Sono importanti le regole, servono a vivere in società. Anche se sapersene discostare mentalmente è importante per mantenerci dentro liberi. Serve a creare, a sognare, a desiderare. Senza regole non c’è rispetto per nessuno e ognuno fa quello che vuole e finisce con il ledere la libertà altrui».
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Mi piacerebbe fare un festival itinerante. Ho un progetto che si chiama “il suono dell’isola”. Per farlo ho bisogno di imprenditori che mi sostengano. È anche per loro un buon ritorno di immagine, di buona pubblicità».E ora che mi ha detto quasi tutto e l’intervista volge al termine gli faccio la domanda più imbarazzante, quella a cui quasi nessuno risponde.
E la tua situazione sentimentale? Me ne vuoi parlare?
Una risata calda gli gorgoglia in gola. Ride coinvolgendo pure gli occhi accesi. Forse diventa persino un po’ rosso. «Lasciamo perdere che è meglio». Ci salutiamo promettendo di rivederci. Gli guardo le spalle mentre si allontana. Jaka è un uomo positivo, è un uomo che guarda avanti, un artista irrequieto con i piedi ben piantati a terra. Arde come fiamma ma naviga a vista.
Tiziana Sferruggia

 

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Giuseppe Giacalone in arte “Jaka”, siciliano della Provincia di Trapani, residente a Firenze per tanti anni, giamaicano d’adozione e giramondo di indole, è uno dei pionieri della musica “in levare” italiana. Negli anni si è esibito in tutti i più importanti festival reggae nazionali fino ad arrivare a prestigiosi palchi di tutto il mondo come a Kingston, New York, Londra, Parigi, Kiev, Barcellona.
Una straordinaria carica live, energica e coinvolgente, ha fatto di lui uno dei più affermati cantanti e musicisti reggae d’Italia.
Durante la sua carriera si è conquistato la stima e il rispetto di grandi artisti internazionali quali Alton Ellis, Max Romeo, Morgan Heritage, Michael Franti, Luciano, Eek a Mouse, Sergent Garcia, Mad Professor e tantissimi altri che lo hanno invitato a cantare con loro durante le esibizioni.Nel corso degli anni, accompagnato dalla Michelangelo Buonarroti Band, ha aperto i tour italiani di Capleton, Buju Banton e Shaggy. Jaka si è esibito di recente come special guest nei live di Alborosie, Dub-Fx, 99Posse, Africa Unite, BoomdaBash. Negli anni Jaka ha firmato pagine di storia del reggae italiano esordendo con l’EP “Della Parola Armati” (1992), per poi uscire con i brani: “Memorabile”, “Love to The People”, “Mettiamo a Fuoco”, “Spirital R-Evolution”, “Forza Originaria” e “Invincible Soul”, pubblicando la sua musica sia con Multinazionali quali Universal, Wea, Virgin sia con etichette discografiche indipendenti come Macrobeats, Flying, One Love, Wide, e la sua personale, recentemente fondata, Jaka Lion Records. Alcuni suoi singoli come “Ragga Soldati”, “GanJah & Tè Bancha”, “Reggae a Matina”, “A Erice”, sono diventati la colonna sonora di più di una generazione e le sue produzioni continuano ad attrarre sempre nuovi fans.Alla fine del 2016 conclude con successo la sua campagna di Crowdfunding sul sito di Music raiser raggiungendo il 120 % dell’obitettivo, per finanziare il suo prossimo progetto discografico “Il suono dell’Isola”.
Nei suoi album hanno cantato tante stars internazionali e nazionali come Luciano, Macka B, Brinsley Forde, Max Romeo, Treble, Sud Sound System, Africa Unite, Roy Paci, Seed, Brusco, Mama Marjas. Tra le tante esibizioni sul main stage del Rototom Reggae Sunsplash, sempre davanti a decine di migliaia di persone, nell’edizione 2007 una giuria composta dai più importanti organizzatori europei, gli assegna l’Italian Reggae Award come miglior artista e performer.
In parallelo alla sua attività di cantante è, da oltre 20 anni, conduttore di Bongoman, (programma reggae della storica emittente fiorentina Controradio – Popolare Network) e uno dei Dj di Popolare Network che ogni anno trasmetteva in diretta nazionale il Rototom Sunsplash (di cui per tanti anni è stato anche presentatore ed MC Ufficiale sul Main Stage ad introdurre con la sua energia artisti di fama mondiale). Jaka è anche Resident Dj dell’Auditorium Flog di Firenze dove è creatore e co-direttore artistico della serata “Vibranite – il tempio del Reggae” l’evento che ha ospitato il maggior numero di concerti di artisti giamaicani in Italia. Un suo spettacolo live o dancehall, è un ottima occasione per assistere ad uno dei più energici e coinvolgenti show del panorama musicale italiano.
Dicono di lui:
«Jaka è il miglior artista Reggae che abbia mai sentito fuori dalla Jamaica». (Marshall Chess), fondatore ed ex presidente della Rolling Stones Records.
«Jaka ha forza, talento compositivo e grande carisma. Il suo album è un esplosione di suoni, e la sua voce riflette i toni della stupenda Sicilia, isola che ha molte cose in comune con la Jamaica. Un artista eccellente». (Chris Blackwell), fondatore della Island Records ed ex produttore di Bob Marley.
«Un comunicatore nato, straordinario». (Piero Pelù) Cantante rock italiano.

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