Raggiungere l’armonia attraverso la dissoluzione della figura e della tecnica pittorica stessa, è un passare sulla tela la mano, dopo aver raschiato, strofinato, lacerato e captare quell’energia profonda che emanano le diverse stratificazioni di colore.
Il processo artistico “Pareidolia” che conduce Salvatore Giampino, in arte Giano, verso l’astrazione pura è progressivo, dal figurativo dei lavori precedenti alla stilizzazione, fino ad annullare quella linea che in “Habitus” definiva forme e curve. E’ privo di logica e puramente istintivo, intimo. Nessuna ideologia a dettare regole che incasellano l’artista in schemi espressivi definiti. Giano ha dato ascolto al proprio sentire interiore e ha atteso che si compisse il processo, chiamato “pareidolia” che dà nome alla mostra personale, curata da Elisabetta Bacchin e Gianna Panicola.
La pareidolia come espediente tecnico illusionistico è stato utilizzato da molti artisti, quali ad esempio Salvador Dalì, per indurre all’inganno chi osserva. Andrea Mantegna, invece, usava dipingere figure antropomorfe nelle nubi, ed è chiaro che non si tratta di una visione subcosciente.
In Giano e’ estremamente naturale, è il suo voler essere naturale che scavalca i confini del tutto stabilito. E’ visione subcosciente.
Ogni processo pareidolico si presta ad una libera e prettamente personale lettura. È del tutto naturale scorgere tra solchi, grumi, fessure, squarci, il volto umano e anche stupefacente. Giano mette in crisi quel difficile rapporto tra percezione soggettiva e rappresentazione oggettiva, lì dove la tecnica pittorica subisce un’ulteriore evoluzione.
Non più pennelli ma spazzole abrasive, stendono, accumulano e trascinano, con movimenti verticali, orizzontali, obliqui, gli strati sovrapposti di colore, lasciandoli interagire tra di loro. E ancora sottraggono colore, creando degli accumuli di materia in modo casuale e illogico. Un rimando a Gerhard Richter può risultare significativo per l’innovazione della tecnica pittorica e per l’astrazione raggiunta.
Il pittore tedesco, in “Abstrakte Bilder” (1988) si serve di grandi spatole costruite appositamente per consentire al colore di sprofondare, sparire per poi riemergere. “Bach” del 1992 e “Cage” del 2006, omaggi al maestro delle variazioni e ad un grande dell’avanguardia musicale americana, sono esempi di massimo lirismo e si possono riscontrare in “Pareidolia 10” e “Pareidolia 11”.
Nell’atto gestuale, vi è il tentativo da parte del nostro, di far riaffiorare gli strati “primi” del colore e nelle lacerazioni, quei “ricordi di memorie cellulari che percorrono veloce i nostri sensi”.
Giano assiste da primo fruitore, al processo artistico “pareidolia”, al sacro momento dell’accettazione che è “pensiero imprevisto e sconosciuto alla sua stessa spiritualità senza dei”.
Gianna Panicola