venerdì, Marzo 29, 2024
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Marsala. Luci (spente) della ribalta

Ottanta. Numero tondo. Cifra profetica. Numero foriero dei bei tempi andati (chi non ricorda gli anni ’80, la Milano da bere, le paillettes, i lustrini, e quel bel vivere al di sopra di ogni possibilità? ma sto divagando…) ottanta dicevamo, ottanta come pienezza, beata tronfia ridondanza, numero che ispira pace e serenità. Eppure, ieri sera, questo numero, al Teatro Sollima, ha significato il fallimento, il vuoto, l’eco di una sala quasi vuota. Ottanta biglietti staccati sono pochi, sono niente, sono un’inezia. Uno spettacolo per pochi (ma buoni?) eletti che si sono beati dell’assistere ad una rappresentazione (epifania degli intenti e delle bugie) chic, più nota come ” teatro d’autore” che certo non è teatro per tutti ma per poche persone colte che sanno apprezzare il valore e il significato di siffatte alchemiche manifestazioni che hanno lo scopo di elevare lo spirito e sollevarlo dunque dall’abbrutimento del vivere quotidiano fatto di piccole e insignificanti beghe. Bene. E allora il disinteresse da parte della popolazione che risponde picche a questa apologia di rigeneranti emozioni a cosa è dovuto? A  me interessa l’analisi, lo sapete, andare a fondo delle cose con distacco e risolutezza ma sopratutto senza scadere nella faziosa insopportabile manfrina dei cosiddetti portatori d’acqua che hanno il compito di tirare dalla propria parte lo sprovveduto passante. Lo spettacolo di ieri sera al teatro Sollima ha incassato davvero poco dunque ( ma è stato bello, emozionante, grandioso a detta di chi ci è andato) ma procediamo con ordine e partiamo dall’analisi della trama. Un clown alcolista cronico ormai sopraggiunta la canizie e la depressione, un uomo come si direbbe disincantato e scontento di una vita che non gli regala più emozioni, salva da un tentativo di suicidio una bella ballerina. Terry, questo il nome dell’esile diafana ragazza, è orfana ed ha una situazione familiare pesante.  Ha una sorella prostituta e ricattata e dunque rappresenta una bella gatta da pelare. Il clown, nonostante l’atavica malinconia che lo contraddistingue e il disincanto di una realtà deludente, salva le loro vite, sia quella di Terry che quella della sorella e da quel momento in poi anche per lui è l’inizio di una piccola ma significativa rinascita. Quando si accorge però che Terry si sta innamorando di lui, invece che rinfocolare il sentimento, consapevole della loro differenza d’età e della sue precarie condizioni di salute, respinge le attenzioni della bella ballerina e con garbo la invita a prendere in considerazione un giovane di belle speranze che potrebbe darle tutto l’amore di cui lei ha bisogno. (Uomo altruista e tenero, hanno gettato via lo stampo). e come se non bastasse tanta dolce mestizia, mentre lei balla sul palcoscenico acclamata dal pubblico in estasi, il clown tenero e anziano, muore dietro le quinte. Trama triste, commovente e sublime e il pubblico, forse presagendolo,  il noto film di Chaplin di cui quello andato in scena ieri sera è un adattamento teatrale lo conoscono tutti) ha preferito non andare perchè come si suol dire preferisce il sollazzo di grasse risate?  Dunque (mi vien da concludere) la scelta di questo tipo di spettacolo non fa correre la gente a comprare i biglietti. L’amministrazione comunale appare a me (osservatrice infaticabile e distaccata) stupita dell’atteggiamento del pubblico distratto e disertore e ancora di più pare amareggiata dalla reazione degli artisti del “Cantiere Culturale” che non vanno a vedere gli spettacoli del cartellone e che sopratutto snobbano le conferenze virtuali ( via skipe) col supermega direttore artistico Moni Ovadia (che è e resta un grande artista da cui c’è solo da imparare) ma desidero rammentare ai politici incontrati più volte che le promesse fatte al cantiere sono ancora tutte inevase. Ci convocarono un torrido giorno d’Estate per sedare le polemiche scaturite da un equivoco meschino. Urgeva un chiarimento su una frase poco felice del sindaco estrapolata da un ben più ampio discorso ( gli artisti dovrebbero lavorare gratis turbò coscienze e infiammò gli animi) e promisero interesse e il coinvolgimento di noi artisti per delle iniziative volte al cambiamento, al miglioramento, alla rinascita della città. _L’ampia fascia di popolazione emarginata e distante che non ha prospettive né speranze, i diseredati e gli afflitti, il popolino, i poveri! Questi dobbiamo recuperare! i giovani che non studiano e non lavorano (credo si chiamino nerds)! ad essi dobbiamo dare speranza! non possiamo abbandonarli al loro destino di infelici e ignoranti!  non possiamo lasciarli nel ghetto in cui sono rinchiusi ma dobbiamo farli sentire parte di noi, noi che siamo i ” salvati”  perchè nati bene, perchè istruiti, perchè eletti. I poveri figli di un Dio minore dobbiamo salvare! Siamo di sinistra e a noi interessa il sociale! Questo è il meraviglioso compito della politica e …..blablabla……_ Frastornati da tante parole meravigliose ascoltate, ricordo che uscimmo nel sole quasi pomeridiano contenti e rinfrancati perchè ognuno di noi avrebbe messo a disposizione il proprio sapere e la propria capacità al servizio del ” popolo” ( parola destabilizzante spaventosa come già detto altre volte) e ci lasciammo con saluti e baci e promesse di un nuovo incontro, anzi tanti altri incontri nei quali avremmo fatto e presentato progetti per i quartieri popolari. Scuole di scrittura, scuola di pittura e di musiche e danza parevano cosa fatta. L’unica amarezza che ci lasciarono presagire fu la mancanza di denaro atavica. Senza soldi messa non se ne canta ma dato che l’amministrazione era quasi col cappello in mano e gli occhi lucidi nel dichiarare la propria indigenza,qualcuno di noi credo fu tentato dal lasciare qualche euro così, tanto per contribuire alle esangui casse comunali.

E invece zitti zitti quatti quatti gli amministratori sensibili alle tematiche popolari che fanno? Nominano un direttore artistico e avvisano gli artisti dopo, a cose fatte. E contenti, sublimi negli occhi speranzosi,stavolta lucidi per la soddisfazione e non per la contrizione che la povertà suscita, ci convocano nel fastoso teatro Sollima per parlare di ” teatro stabile diffuso” la rete di teatri nazionali che dovrebbe significare la svolta, la vera soluzione dei problemi culturali sociale della città perchè il Comune diventa ( udite udite) produttore dei spettacoli, manager, gestore e mette sul piatto centomila euro per questo, anzi rilancia, dicendo che non è che l’inizio di un grande giro( e raggiro) di soldi che arriveranno a pioggia e che torneranno a rimpinguare le casse comunali. I soldi,paf! ci sono! magia! i soldi ci sono e ce li dà il ministero, anzi no che dico, l’Europa.Ricordo lo stupore, l’ottundimento di quel momento. Restammo attoniti, anzi qualcuno di noi si alzò allibito e andò via forse prima che la nausea lo annientasse del tutto. Tre mesi appena erano passati dalla piagnucolosa riunione estiva e ora invece, nell’atmosfera accesa calda e scintillante del Sollima tutto appariva diverso. Ricchi erano diventati,anzi tutta la città appariva votata ad un nuovo corso, avviata ad una catarsi che l’avrebbe condotta  alla resurrezione. Ma poi la realtà( pipistrello dalle ali nere e frastagliate) ci rivelò che lo spettacolo con Sebastiano Lo Monaco ” il berretto a sonagli”aveva incassato  appena 2500 euro e neerano stati stanziati in una delibera dieci mila per sopperire alle spese. Poi fu la volta de ” le sorelle Matarazzi” e la Milena Vukotic raggelò il pubblico lamentando il freddo del teatro in quanto i riscaldamenti erano spenti e il cast batteva i denti per il freddo e lo spettacolo si fece soltanto per il grande rispetto nei confronti degli spettatori paganti. E così arriviamo quieti quieti a ” Le luci della ribalta” di ieri sera appunto. Luci spente come già annunciato nel titolo, con appena ottanta biglietti staccati al botteghino. Un buon padre di famiglia cosa fa in tempo di crisi? spende i pochi soldi a disposizione per tutti i figli distribuendoli equamente, non mangia pane e acqua tutti i giorni lamentando miseria per poi comprare lo champagne e offrirlo ad un ospite occasionale sconvolgendo i figli per tanto sfarzo incomprensibile. Questo tipo di atteggiamento ( piccolo borghese direi) genera distacco, insofferenza, forse astio. E

invece si continua a fare come il clown ( mi è d’obbligo il riferimento al personaggio da cui siamo partiti) che non impara nulla dall’esperienza e proprio per questo fa ridere.

Tiziana Sferruggia

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