sabato, Maggio 17, 2025
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Calcestruzzi Belice, crisi profonda

Continua l’incertezza e il nervosismo fra i lavoratori della Calcestruzzi Belice dichiarata fallita, scelta che ha determinato una fase di stallo sia per le estrazioni che per l’ assunzione eventuale degli operai presso altre ditte.  Il rinvio disposto dalla Corte di appello di Palermo al 14 aprile 2017 andrebbe unicamente a discapito dei lavoratori dell’azienda Calcestruzzi, che hanno perso il loro impiego. I clienti infatti potrebbero rivolgersi ad altre ditte proprio a causa del persistente periodo di inattività della Calcestruzzi Belice.

L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati, in attesa del pronunciamento della Corte di appello, ha individuato una soluzione possibile di transito per salvaguardare la prosecuzione delle attività aziendali e ha disposto, con nota prot. uscita n. 7289 del 10 febbraio 2017, una momentanea destinazione del compendio aziendale della fallita Calcestruzzi Belice srl, ad altra società della stessa confisca Cascio, la Inerti srl, che ha lo stesso oggetto sociale della fallita. La Inerti srl ha già predisposto la documentazione richiesta dal distretto minerario per subentrare nei titoli autorizzativi all’estrazione della Calcestruzzi Belice srl e potrà proseguire le attività della società fallita sino alla decisione della Corte di appello e, comunque, sino alla destinazione definitiva del compendio aziendale della fallita. Questo eviterebbe la procedura di decadenza dei titoli autorizzati all’estrazione e gli ex dipendenti della Calcestruzzi Belice potrebbero essere assunti gradualmente dalla Inerti srl. Le caratteristiche di questo fallimento sono singolari: tutto il debito per il quale la magistratura ha stabilito che l’azienda potesse fallire ammonta a 30.000 euro, debito che la Calcestruzzi, prima del sequestro, aveva nei confronti dell’Eni, la quale si è sottoposta a verifica dei crediti. La Calcestruzzi Belice aveva però un volume d’affari superiore a un milione di euro all’anno e in pratica avrebbe potuto estinguere il debito ma non è stato possibile perché la normativa del 2012 imponeva all’azienda di non pagare in attesa della procedura.

Nel contempo è stata l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ad avanzare proposte giuridiche concrete per evitare la chiusura dell’attività, il licenziamento dei dipendenti e colmare la presunta lacunosità della magistratura. 

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