Questa mattina, i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Messina, con il supporto dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, dello Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori di Sicilia e del Nucleo Cinofili,nelle province di Messina, Siracusa, Catania, Milano e Torino, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina su richiesta dei magistrati della locale D.D.A, il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, e i sostituti Liliana Todaro, Maria Pellegrino e Antonio Carchietti nei confronti di 30 persone, gravemente indiziate di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, estorsione, corruzione, trasferimento fraudolento di valori, turbata libertà degli incanti, esercizio abusivo dell’attività di giochi e scommesse, riciclaggio, reati in materia di armi ed altro. All’appello mancano ancora due persone, irreperibili perché all’estero. Sono andati in carcere Vincenzo, Benedetto, Pasquale e Antonio Romeo, Stefano Barbera, il geometra Biagio Grasso, Giuseppe Verde (32 anni), Marco Daidone (44), l’avvocato Andrea Lo Castro, il funzionario dell’ufficio urbanistica del comune di Messina Raffaele Cucinotta, il catanese Salvatore Galvagno di Biancavilla, i catanesi Carmelo Laudani e Vincenzo Santapaola, Roberto Cappuccio di Siracusa, il milanese Mauro Guarnieri, Antonio e Salvatore Lipari. Per 10 degli altri indagati il G.I.P. ha disposto, su richiesta della medesima A.G., la misura degli arresti domiciliari. L’indagine coinvolge esponenti della società che conta, insospettabili professionisti, l’ex presidente dei costruttori di Messina, imprenditori, titolari di società, funzionari del Comune, tutti collegati fra loro da interessi economici illeciti.
Le indagini, avviate nel 2013, hanno consentito di riscontrare quanto già riferito da alcuni collaboratori di giustizia che avevano parlato di collegamenti con la famiglia Santapaola e altri clan che operano in altri quartieri cittadini. Cosa nostra catanese era gestita da appartenenti alla famiglia Romeo ( Francesco e Vincenzo) a loro volta cognato e nipote di Nitto Santapaola ovvero marito e figlio di Concetta Santapaola, sorella del boss. Questo clan però si è tenuto a debita distanza dalle armi e ha concentrato i propri interessi all’ interno dell’economia reale e delle relazioni socioeconomiche, con agganci in ogni settore della società che conta. Sono emersi interessi sull’ autostrada SA-RC ed Expo, nei giochi illegali e nelle scommesse calcistiche di massima seria. Corrompevano e creavano azioni clientelari per controllare l’attività di enti pubblici, attivando informatori e complici presso uffici pubblici (anche presso organi di polizia e uffici della procura) e presso società che fornivano servizi alle imprese (come le cooperative nel settore dalle forniture alimentari) ovvero gestiscono in subappalto la fornitura di prodotti parasanitari per conto delle ASL.
Sono stati, infatti, accertati i cospicui interessi della compagine indagata nella gestione di centri scommesse e nella distribuzione di macchinette video-poker in provincia di Messina attraverso le società “START S.r.l.”, “WIN PLAY SOC.COOP.” e “BET SRL”. Dal complesso delle acquisizioni è emersa, ancora, l’influenza di Vincenzo Romeo sulla PRIMAL s.r.l., società titolare di una concessione con diritti su 24 sale e 71 corner ed è stato proprio Romeo nel corso di alcune intercettazioni ambientali, a spiegare di aver preso parte a Roma ad un incontro con i finanziatori di detta società e che nell’occasione sarebbero stati presenti numerosi rappresentanti di diverse “famiglie” della Sacra Corona Unita e della ‘Ndrangheta, i quali avrebbero riconosciuto a Romeo il proprio ruolo. le indagini hanno permesso di accertare l’interesse del gruppo nell’organizzazione di corse clandestine di cavalli, tenute solitamente alle prime luci dell’alba lungo alcune vie cittadine, con le relative scommesse e la somministrazione agli animali di farmaci per aumentarne le prestazioni;
Dalle intercettazioni è emersa, inoltre, la disponibilità di armi in capo al gruppo e l’esistenza di collusioni con esponenti delle istituzioni finalizzati ad ottenere notizie su eventuali indagini in corso.