giovedì, Marzo 28, 2024
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Non hanno avuto rispetto né pietà per mio padre al “Paolo Borsellino” di Marsala, il mio dolore è indelebile

Con queste asciutte e commosse parole, la giovanissima Martina lo Cascio, raggiunta telefonicamente dalla nostra redazione, ha commentato il motivo per cui ha spedito alla nostra testata giornalistica un’appassionata lettera in memoria della triste e dolorosa vicenda che l’ha toccata personalmente. La giovanissima Martina ha assistito alla morte del padre cinquantenne ricoverato presso l’ospedale “Paolo Borsellino” di Marsala in cui ha trascorso il fine vita fra sofferenze e sopratutto senza quella “pietas” che i medici e gli infermieri dovrebbero avere verso chi soffre. Ecco la sua accorata testimonianza.

«Non ho chiesto miracoli per salvare la vita a mio padre, non è possibile salvare chi sta morendo, ma mi ha sconvolta la mancanza di umanità, di comprensione, d’affetto e di educazione da parte di alcuni medici ed infermieri del reparto dove mio padre era ricoverato e che non hanno avuto pietà né per me e per mia madre che eravamo piene di dolore, né per mio padre che si trovava nella parte più difficile della vita di un uomo, ovvero la fine, causata da una malattia che non gli ha lasciato scampo.  Il mio dolore è indelebile. Quello che abbiamo passato non lo auguro a nessuno, ci hanno trattato malissimo, con indifferenza disumana. Mio padre non si meritava questo, nessun malato lo merita. Gridavano nella stanza di mio padre incuranti di lui che soffriva e di noi che assistevamo impotenti. Mi sarei aspettata un pò di amore e di comprensione per i malati terminali. Mio padre, fino alla fine, è stato cosciente. Ha capito cosa succedeva intorno a lui. Un medico non dovrebbe pensare solo al denaro ma anche a come comportarsi in casi dolorosi in cui il paziente e i familiari si trovano in una fase così delicata. Voglio che la mia vicenda possa sensibilizzare sia i medici che gli infermieri ad avere rispetto per la dignità del paziente».

Di seguito pubblichiamo la lettera giunta alla nostra redazione e scritta da Martina lo Cascio.

Ecco le sue commosse parole:

“Mi chiamo Martina Lo Cascio e desidero segnalare una gravissima situazione verificatasi all’ospedale Borsellino di Marsala, dove era stato ricoverato mio padre, affetto da microcitoma polmonare scoperto nel luglio 2017, situazione che ha portato alla morte precoce e disumana del mio genitore in una struttura sanitaria che dovrebbe accogliere e curare i pazienti ma dove invece non esiste neppure un reparto di oncologia, in cui poter usufruire del supporto di team oncologici specializzati.

Nonostante la Carta dei diritti del malato preveda che ogni cittadino, anche se gravemente minato dalla sua malattia, abbia diritto a trascorrere l’ultimo periodo di vita conservando la sua dignità, soffrendo il meno possibile e ricevendo attenzione e assistenza, il mio papà, Benedetto Lo Cascio, ha ricevuto, nella citata struttura, assistenza sanitaria pressoché nulla con interventi sanitari improvvisati e incompetenti e comunicazione tra personale e malato completamente priva di correttezza e di buon senso che devono considerare in primis le necessità ed i bisogni del malato.

Inutile dire che in tale struttura non solo non viene raggiunta la soglia minima delle cure garantite alla popolazione dal Servizio sanitario ma trattasi di ospedale di frontiera, molto simile agli ospedali da campo della tristemente nota I guerra mondiale.

Desidero specificare in dettaglio il doloroso iter a cui il mio genitore è stato sottoposto affinché sia chiaro cosa deve subire un malato e la sua famiglia, che oltre al dolore e all’angoscia per la diagnosi, è costretta a patire umiliazioni e sentenze non richieste.

Trasportato in ambulanza al pronto soccorso, il babbo vi è rimasto tutta la notte su una barella con un materasso non più spesso di 20 cm. Era chiaro a tutti che, non esistendo un reparto di oncologia polmonare, avrebbe dovuto essere ricoverato al reparto di pneumologia dove però non c’erano posti disponibili. Così è stato deciso di “sistemarlo in urologia (!).

Nel reparto, ovviamente non qualificato per trattare il caso (mi sono anche chiesta perché non l’avessero portato in pediatria, visto che non ci sarebbe stata differenza), il personale non è stato in grado per lungo tempo di trovare la vena, torturando inutilmente le braccia. I ripetuti patetici tentativi non hanno sicuramente giovato a mio padre, che, la stessa  sera ha incominciato a respirare male. E’ stato chiamato il personale infermieristico (ometto i nomi sia dell’infermiere che del medico, nomi che potrò fare in sede opportuna) che si è permesso di urlare “Tuo padre è un malato terminale, non c’è più niente da fare, io posso solo chiamare il dottore che c’è in ospedale, al reparto medicina del 4 piano”.

Forse nella struttura l’abitudine è di urlare al capezzale dei malati perché al suo arrivo il medico ha a sua volta urlato verso l’infermiere “Tu mi devi chiamare solo quando c’è bisogno” ed è risalito al suo reparto senza fare nulla.

Quando il paziente si è ancora una volta sentito male, si è deciso di misurare pressione, glicemia ecc e di effettuare una aspirazione dell’escreato ma l’infermiere non è stato in grado di farlo ed io, impotente, ho dovuto assistere alla disumana scena di mio padre che soffocava!

La situazione è peggiorata a tal punto che alle flebili parole del paziente “Ho bisogno di aiuto, mi sento male”, è stato risposto, sempre con le solite urla, al paziente ben cosciente ed ai famigliari “La pressione è buona, non c’è bisogno di fare nulla” e rivolgendosi alla moglie “Signora, suo marito è un malato terminale, non lo vuole capire?”

La frequenza cardiaca è salita repentinamente e dopo un minuto il paziente è spirato.

Non si può morire per un microcitoma dopo due mesi dalla diagnosi! Non si deve morire circondati da incompetenti senza cuore né senza un minimo di empatia dovuti ad un malato, terminale o meno.

E’ tempo che i medici ed il personale infermieristico siano preparati. E’ tempo che anche in Sicilia gli ospedali siano preparati ad accogliere e curare anche patologie più serie di una appendice perforata. E’ tempo che non si debba più correre al nord per trovare delle strutture dove l’umanità e la competenza sono normale amministrazione.

La scrivente al nord ci sarebbe dovuta andare con il suo papà, mancavano due settimane al consulto

Purtroppo non c’è arrivata. Per colpa di chi? Qualcuno si deve fare qualche domanda e molti dovrebbero dare delle risposte”.

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