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50° anniversario terremoto del Belice, il presidente Sergio Mattarella alla cerimonia in ricordo delle vittime

Sono passati cinquant’anni, mezzo secolo, un tempo lungo eppure breve, un tempo non ancora sufficiente per dimenticare né per cancellare le profonde ferite. Nella notte fra il 14 e il 15 gennaio del 1968 un terremoto violento di magnitudo 6,4 devastò una vasta area di Sicilia Occidentale, la Valle del Belice. Tutto in realtà era iniziato in pieno giorno, all’una e mezza del 14 gennaio, ad ora di pranzo. Fu una forte scossa che causò gravi danni a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale. Ne seguì un’altra tre quarti d’ora dopo, alle 14.15, e fu avvertita fino a Palermo, Trapani e Sciacca. E da quel momento fu un crescendo. Alle 16.48, la terza scossa, causò seri danni a Gibellina, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita e Santa Ninfa. Le due scosse, quelle notturne, quelle più devastanti, si verificarono alle 2.33 del mattino e alle 3.01 e si sentirono fino a Pantelleria. I pochi muri rimasti ancora in piedi crollarono il 25 gennaio, alle 11 del mattino.

Il terremoto durò fino al mese di settembre del ’68 e si registrarono 340 scosse telluriche di assestamento. Le stime parlarono di 300 morti, 1.000 feriti e 70.000 sfollati.
Dopo il sisma, come spettri, i sopravvissuti, si aggirarono fra le rovine, ancora increduli, smarriti per aver perso tutto e con la strana incredibile sensazione di sentirsi ancora vivi, di esserlo, nonostante avessero oltrepassato l’implacabile sisma che non aveva avuto pietà per quel territorio e per i suoi abitanti. Nel resto del Paese non ebbero fin da subito l’esatta gravità di quello che era successo. I giornali, addirittura, sottovalutarono l’evento parlando di lievi danni con qualche casa lesionata. Quando giunsero i primi soccorsi, finalmente si resero conto che molti paesi non esistevano più, che le strade erano come state inghiottite dalla terra e che i sopravvissuti versavano in terribili condizioni. Avevano freddo, fame, ed erano stremati dalla durissima prova a cui erano stati sottoposti. A visitare la Valle del Belice vennero il Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, e il ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani.
Il terribile terremoto rivelò in modo impietoso tutta l’arretratezza di quei luoghi abbandonati dallo Stato e dalle istituzioni. Le costruzioni in tufo, inadatte a superare le scosse, caddero come se fossero fatte di carta. Il terremoto rivelò la miseria, lo stato di indigenza di quel territorio in cui erano rimasti soltanto vecchi e bambini perché i giovani e gli adulti erano stati costretti ad emigrare al nord per lavorare.
Nel febbraio del 1968, 9.000 sfollati della provincia di Trapani erano alloggiati in edifici pubblici, altri 10.000 stavano nelle tende e 5.000 nei vagoni ferroviari, mentre altri 1.000 si erano trasferiti in altre province. Le ultime 250 baracche di eternit della Valle del Belice sono state smontate “appena” dodici anni fa, nel 2006. La ricostruzione andò a rilento e come sempre, vi fu chi vi si arricchì speculandoci e chi invece, perse tutto e rimase fuori dal grande banchetto. A distanza di 50 anni cosa è cambiato? Il 14 gennaio 2018, in occasione di una manifestazione organizzata da un comitato nato fra tutti i sindaci della Valle del Belice, si pongono le basi per il futuro.
Abbiamo ascoltato il coordinatore di questo comitato, il sindaco di Partanna, Nicola Catania, il quale ricopre questo incarico da 15 anni, da prima ancora che fosse eletto primo cittadino della cittadina, «un onore e un onere» come lui stesso ha sottolineato. «Abbiamo volutamente e fortemente valutato – dice Catania – l’opportunità di celebrare questo cinquantesimo anniversario in termini positivi. Va bene ricordare, va bene commemorare ma vogliamo anche guardare al futuro con slancio ed energia. Lo slogan che abbiamo creato riassume questo nostro intento, “Cinquantesimo, Costruiamo bellezza”. Dobbiamo liberarci di una cappa che grava sulle nostre spalle, di un clichè che ci vuole piagnucolosi ed inetti. Vero è che ci sono ferite aperte ma è pur vero che vogliamo mostrare quanto di bello gli abitanti del Belice, nonostante le difficoltà, la mancanza di aiuti dal punto di vista economico, sono riusciti a fare. Se oggi siamo qui, se siamo dotati di reti museali, di tanta offerta culturale, di offerta turistica, se abbiamo attività produttive importanti, è dovuta a questa resilienza, alla capacità di resistere agli urti e di rinascere partendo proprio da questa disgrazia facendo di necessità virtù. Si sono sbracciati, ecco. Non è vero che i siciliani si piangono addosso, questa immagine non ci appartiene».
E all’impegno personale ed imprenditoriale lo Stato deve fare la propria parte realizzando le infrastrutture necessarie, che mancano, ponendo questo territorio ancora fra i posti più arretrati.
«Lodi ed onore a chi è rimasto nella Valle del Belice – aggiunge il sindaco di Partanna – e a chi ha creduto nel proprio futuro qui. Lodi a chi ha continuato a investire qui e con meravigliosa testardaggine lavora dalla mattina alla sera per creare. Il terremoto del ’68 è stato un laboratorio, il primo grande cataclisma in Italia. Nel ’74, per quello in Friuli, lo Stato era più preparato e anche per quello dell’80 in Irpinia. Il Belice ha segnato un’era. È servito come cavia, ecco. In Friuli la ricostruzione totale è avvenuta in otto anni e a noi i dodici mila miliardi di finanziamenti ce li hanno spalmati in 40 anni. Al Friuli sono andati 27 mila miliardi, più del doppio. La Sicilia è stato ancora una volta laboratorio sperimentale anche nelle disgrazie. La protezione civile nazionale del ’68 neanche esisteva ad esempio, venne istituita dopo. L’esercito mandato dallo Stato arrivò una settimana dopo e si trovò davanti neve e fango e distruzione e ha iniziato a lavorare, facendo il possibile».
Dove è stato dunque l’errore che ha rallentato la ricostruzione e che ha consentito gli sprechi che si conoscono? Ancora una volta il sindaco partannese non esita a dare una risposta: «Lo Stato – conclude Catania – ha calato dall’alto i finanziamenti per finanziare i progetti realizzati da studi fatti a Roma che ben poco avevano a che vedere con il nostro territorio con big urbanizzazioni.

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana (Foto tratta da quirinale.it)

Abbiamo dovuto aspettare 19 anni, nell’87, con la legge 120, per consentire agli enti locali l’autonomia per poter gestire i finanziamenti e da quel momento, con 3 mila miliardi, dei dodicimila complessivi, si sono realizzate intere città. Non ci stiamo più però a guardare al passato, vittime ancora di un retaggio che non ci appartiene più Occorre girare pagina». Intanto, il Comitato dei 21 sindaci, ha organizzato per il 14 gennaio la cerimonia inaugurale degli eventi in memoria delle vittime del terremoto, che si svolgerà nell’Auditorium “Giacomo Leggio”, a Partanna, dove parteciperà anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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