“Nella rubrica “I nostri diritti” l’avv. Camilla Alabiso si occupa, in modo semplice e diretto, di questioni di diritto di interesse comune in modo da rendere il più possibile comprensibili i nostri diritti, il cui esercizio, siamo convinti, debba essere alla portata di tutti. Chi vuole, potrà scrivere alla nostra redazione, all’indirizzo redazione@siciliaogginotizie.it, per avere chiarimenti o per segnalare questioni da trattare”
Il “Decreto Cura Italia” stabilisce che: “nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro ..l’INAIL assicura.. la tutela dell’infortunato”.
Le prestazioni INAIL vengono erogate anche per il periodo di quarantena del lavoratore e i relativi costi non ricadono sul datore di lavoro in quanto l’infezione da COVID-19 dipende da fattori di rischio che egli non può controllare direttamente e interamente. L’INAIL ha chiarito che in questi casi al lavoratore spetta la tutela perché il coronavirus rientra tra le malattie infettive che da sempre, dal punto di vista assicurativo, sono inquadrate tra gli infortuni sul lavoro, in quanto la causa virulenta è equiparata a quella violenta.
L’Istituto ha ancheintrodotto una cd. “presunzione semplice di origine professionale” sia per gli operatori sanitari, esposti a un elevato rischio di contagio, sia per tutti coloro che sono impegnati in attività lavorative che comportano un costante rapporto con il pubblico (ad es. i lavoratori che operano alla cassa, gli addetti alle vendite etc.).
Ciò ha indotto a pensare che, in sede processuale e in assenza di prove dirette (come documenti o testimoni), per fare valere la responsabilità del datore di lavoro, al lavoratore basterebbe”semplicemente” provare lo stato morboso e di aver svolto mansioni a contatto con il pubblico, non anche di aver preso la malattia durante il lavoro; mentre, il datore di lavoro convenuto in giudizio dovrebbefornire la difficile prova dell’assenza di nesso causale fra le mansioni svolte dal lavoratore e l’avvenuto contagio.
Tale quadro normativo ha suscitato notevoli preoccupazioni fra i datori di lavoro, che, nella delicata fase di ripresa dell’attività, hanno temuto un eccessivo inasprimento di responsabilità a loro carico e, soprattutto, un automatismo nell’accertamento delle stesse; d’altronde, nel frattempo, tra la fine di febbraio e il 15 maggio sono notevolmente aumentate le denunce all’INAIL di contagi COVID di origine professionale (43.399 casi a fronte dei 37.352 rilevati il 4 maggio).
A fronte di tali timori, l’INAIL è intervenuta nuovamente per sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario: non possono confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail con i presupposti per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro, che devono essere accertati con criteri diversi; oltre alla rigorosa prova del nesso di causalità tra fatto e danno, occorre anche quella dell’imputabilità della condotta tenuta dal datore di lavoro,quantomeno a titolo di colpa.Secondo l’Istituto, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti da conoscenze sperimentali o tecniche, che, nell’attuale stato di emergenza epidemiologica da COVID-19,sono raccolte nei protocolli e nelle linee guida governative e regionali. In assenza di una comprovata violazione delle misure di contenimento, sarebbe molto difficile ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.
Questi chiarimenti dell’INAIL sono stati recepiti dalle Commissioni riunite Finanze e Attività Produttive durante l’esame del Decreto Liquidità ai fini della sua conversione in legge: il 27 maggio, la Camera ha approvato il nuovo testo del decreto con una serie di correzioni, tra cui il nuovo articolo in materia di “Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19”.
La norma prevedeche i datori di lavoro, pubblici e privati, adempiono all’obbligo di tutela dei lavoratori, previsto dal nostro codice civile,applicando:innanzitutto il protocollo sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali per regolamentare le misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro; poi, iprotocolli che sono stati o saranno adottati dalle Regioni, e infine, nei casi in cuiessi non si possano applicare, i protocolli o gli accordi di settore firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative. Ovviamente, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, è necessario che egli mantenga nel tempo le misure previste dai protocolli.
Sembra che il quadro normativo, così modificato, possa garantire un migliore equilibrio tra il diritto ad una adeguata tutela dei lavoratori contagiati da COVID 19 in occasione di lavoro e le ragioni dei datori di lavoro a non vedersi caricati, automaticamente e acriticamente,di responsabilità da contagio, soprattutto se hanno applicato tutte le misure di tutela previste.
Ovviamente, perché tale quadro normativo possa dirsi efficace, occorrerà la conversione in legge del decreto liquidità.