La pandemia in corso rende ancora una volta attuale il tema della responsabilità medica.
In sede di approvazione del cd. Decreto Cura Italia, si era discussa la possibilità di depenalizzare la responsabilità dei sanitari che avessero prestato la propria attività nel contesto emergenziale. Questo anche alla luce delle iniziative speculative di alcuni studi legali che, in piena emergenza, hanno pubblicizzato servizi di assistenza a tutela dei familiari di vittime da Covid –19.
Gli emendamenti non sono mai stati approvati ed è quindi alla luce della normativa vigente che bisogna tracciare i confini oltre i quali la pandemia, integrando una causa di forza maggiore o di necessità, esclude laresponsabilità del medico, o rende inesigibile un corretto adempimento da parte della struttura sanitaria.Ciò si rende necessario, da un lato, per impedire che abbiano il sopravvento tendenze dirette a placare l’ansia con la ricerca di capri espiatori e, dall’altro che gli operatori sanitari, preoccupati per la propria incolumità giudiziaria, adottino atteggiamenti auto-cautelativi improntati a una sorta di “medicina difensiva dell’emergenza” (non si interviene più perché non si ha esperienza e competenza specifica o non si tentano cure non del tutto validate).
In generale, nel nostro ordinamento la responsabilità medica corre su un duplice binario: responsabilitàextracontrattuale del singolo medico, responsabilità contrattuale, della struttura sanitaria, la quale, poi, potrà esperire un’azione di rivalsa nei confronti del medico che abbia tenuto una condotta dolosa o gravemente colposa.
Si tratta di un regime contrattuale caratterizzato da un evidentefavor del legislatore a beneficio del medico, anche dal punto di vista del risarcimento del danno, per la cui determinazione, il giudice deve eccezionalmente “tenere conto” del rispetto, da parte del medico, delleraccomandazioni di cui alle linee guida pubblicate dalla comunità scientifica, ovvero, in mancanza, delle buonepratiche clinico assistenziali.
Dal punto di vista penale, poi, è esclusa la punibilità del sanitario per i reati di omicidio
colposo e lesioni personali colpose se l’evento è stato causato da imperizia e l’esercente si era uniformato alle suddette indicazioni.
Responsabilità del singolo sanitario:
Le ipotesi di responsabilità (extracontrattuale) addebitabili, nel contesto emergenziale, al singolo medico sonoessenzialmente riconducibili al momento della diagnosi, da un lato, e a quello successivo della somministrazionedelle cure, dall’altro.
Rientra nel primo caso, ad esempio, una erronea, ovvero ritardata, diagnosi, che abbia aggravato la patologia.
Nel secondo caso rientrano, invece, quelle ipotesi di negligente (inerte, trascurata), imperita (inesperta), o imprudente esecuzione del trattamentoterapeutico, che abbiano causato un danno alla salute del paziente; nonché il caso in cui, inconseguenza della mancata adozione delle cautele imposte dalle regole tipiche dell’attività esercitata, un paziente, affetto da diversa patologia,contragga il Covid 19 in ambiente ospedaliero.
Tanto premesso, bisogna chiedersi quale sia la condotta concretamente esigibile dal medico in un contestocaratterizzato dalla novità di una patologia mai studiata scientificamente e contraddistinta dall’elevata contagiosità;contesto peraltro aggravato da una massiccia e generalizzata carenza organizzativa, tanto con riferimento alladisponibilità di terapie idonee a contrastare il virus, quanto con riguardo alla scarsezza di strumentazione, dispositividi protezione individuale, nonché (e soprattutto) di posti letto in terapia intensiva e adeguato (in numero e specializzazione) personale sanitario.
Sembra senz’altro applicabile al caso di specie l’art.2236 c.c., il quale, in materia di responsabilità del prestatore d’opera, prevede che, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, egli non risponde, se non in caso di dolo o colpa grave. La giurisprudenza ha circoscritto l’ambito applicativo della norma ai soli casidi imperizia derivante dalla insufficiente preparazione del sanitario a risolvere problemi di eccezionale difficoltà,escludendone l’operatività rispetto ai danni causati per negligenza (ossia noncuranza, difetto di attenzione) e imprudenza (ossia precipitazione, avventatezza, insufficiente ponderazione).
Orbene, il Coronavirus, quale pandemia globale mai studiata dalla comunità scientifica edilagata in Italia prima che nel resto d’Europa, integra senz’altro il caso eccezionale di cui all’art. 2236 c.c. Talenorma potrà trovare applicazione, dunque, nel caso in cui la terapia prescelta non abbia portato alla guarigione(proprio per l’assenza di linee guida o buone pratiche), ma anche per giustificare l’imperizia dei medici nonspecializzati (o in possesso di specializzazioni non afferenti alla infettivologia) i quali, assunti per sopperire allecarenze di organico nel contesto emergenziale, abbiano ignorato (non per loro colpa) le legesartis del caso di specie (ossia le regole di protocollo accettate e condivise dalla migliore scienza medica).
In conclusione, quindi, il medico potrà andare esente da responsabilità soltanto nel caso in cui la sua condotta imperita sia giustificata dalla assenza di linee guida/buone pratiche in grado di orientare la condotta terapeutica; non, invece, laddove, nonostante il contesto emergenziale, egli abbia causato un danno per inosservanzadelle legesartis note, ovvero abbia tenuto una condotta negligente o imprudente.
Tanto premesso in linea generale, è necessario distinguere tra le diverse ipotesi configurabili nelcaso concreto. Nonvi sono dubbi circa la possibilità di impiegare l’art. 2236 c.c. per giustificare il pregiudizio (morte, lesione personaletemporanea o permanente) che il paziente infetto abbia riportato in conseguenza di un trattamento sanitariorivelatosi incongruo. In assenza di univoche indicazioni da parte della comunità scientifica, e in un contestoglobalmente eccezionale, l’imperizia del medico rinviene la propria giustificazione proprio nell’art. 2236 c.c., ferme per il resto l’osservanza delle ordinarie diligenza e prudenza nell’esecuzione dei trattamenti.
Lo stesso non sembra potersi dire per i casi di tardiva diagnosi. Inpresenza di una sintomatologia chiaramente riconducibile al virus in questione, sotto tale aspetto già noto allacomunità scientifica, non pare possibile escludere a priori una grossolana imperizia da parte del sanitario. Così,ad esempio, nell’ipotesi in cui un paziente affetto da crisi respiratoria tipicamente associata al Covid 19 sia sottoposto alle cureper una polmonite ordinaria, non potrebbe escludersi la responsabilità del sanitario in via automatica, soltanto inragione del complessivo contesto emergenziale.
In altri casi, invece, la pandemia integra il caso di forza maggiore idonea ad escludere il fatto illecito del medico.
Si pensi, innanzitutto, aldanno derivante dalla somministrazione di un farmaco c.d. off label, ossia il medicinale già registrato,ma utilizzato in modo non conforme a quello previsto. La disciplina in materia prevede la facoltà, per il medico, di impiegare tali medicinalialle seguenti condizioni: (a) il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essereutilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità disomministrazione; (b) tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale; (c) previa la informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso; (d) fermarestando la diretta responsabilità del sanitario.
Proprio con riguardo a quest’ultima previsione, pare doversi riconoscere la ricorrenza di una responsabilità per esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c., connessa allapericolosità derivante dalla somministrazione di farmaci ancora “sperimentali”.
Tale tipo di responsabilità comporta una presunzione di colpevolezza in capo al danneggiante, il quale non è ammesso a provare il contrario, potendo soltanto dimostrare di “aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. Ne deriva che, nel caso di pregiudizio derivante dalla somministrazione di un farmaco “fuori etichetta” (ma identicodiscorso vale anche per la terapia sperimentale), a fronte della prova, gravante sul paziente, della sussistenza deldanno, nonché del nesso tra quest’ultimo e la condotta del sanitario, sul medico incombe un onere probatoriorafforzato: per non essere condannato, egli dovrà dimostrare che la peculiarità del caso in esame rendevaopportuna la somministrazione del farmaco contestato stante: (a) l’assenza di indicazioni terapeutiche per trattare ilCoronavirus; (b) l’accreditamento dell’impiego di quel medicinale fuori etichetta da parte di studi scientifici; nonchéin fase esecutiva (c) l’avvenuta attenta sorveglianza in ordine allo svolgimento della cura ed alla sua evoluzione, ades. mediante la puntuale annotazione di reazioni al farmaco non registrate dagli studi esistenti.
Altro caso in cui la forza maggiore è idonea ad escludere la responsabilità del sanitario è quello della lesione del diritto al consenso informato: si pensi ad un paziente affetto dal Coronavirus condotto in viad’emergenza in ospedale ed immediatamente sottoposto a un trattamento, in assenza della preventiva informativada parte del medico.
La lesione del diritto del paziente ad essere sottoposto a trattamenti soltanto previo consenso può pregiudicare altri due diritti: quello alla salute, quando sia provato che il paziente –se informato –avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento (o si sarebbe sottoposto a diverso intervento) da cui ha subito conseguenze invalidanti; quello alla autodeterminazione, laddove, acausa del deficit informativo, al paziente sia residuato un danno (patrimoniale o non patrimoniale) diverso dalla lesione del diritto alla salute.
Sul punto va, tuttavia, precisato che il diritto di autodeterminazione, pur avendo fondamento costituzionale, incontra taluni limiti in situazioni eccezionali: da un lato, l’urgenza dell’intervento sanitario che non renda materialmente possibile chiedere il consenso informato; dall’altro, il pubblico interesse previsto da una apposita disposizione costituzionale (art.32, secondo comma, Cost.) secondo la quale la salute è tutelata non solo come fondamentale diritto dell’individuo, ma anche come interesse della collettività.Ne consegue che in questo caso il sanitario andrà esente da responsabilità qualora il mancato rilascio del consenso informato sia dovuto alla assoluta urgenza del trattamento sanitario; circostanza, quest’ultima, che, soprattutto nei momenti della piena emergenza, ha purtroppo registrato una percentuale rilevante di casi.
Responsabilità della struttura sanitaria:
Cosa diversa è quando il danno sia derivato da una carenzaorganizzativa della struttura sanitaria. Si pensi ai casi di morte di un paziente non ricoverato in terapia intensiva per
insufficienza dei posti letto, ovvero non curato adeguatamente per carenza di personale sanitario (o specializzato), farmaci o strumentazione; oppure alle infezioni nosocomiali, ossia quei casi in cui pazienti ricoverati perpatologie diverse contraggano il Covid 19 in ambiente ospedaliero, a causa di carenze organizzative della struttura.
In questi casi, siamo senz’altro dinanzi ad una responsabilità autonoma della struttura sanitaria, inquanto tale non riferibile ad una condotta colposa del personale medico, bensì ad una colposa carenza organizzativadella struttura stessa.
La struttura sanitaria risponde dei danni subiti dal paziente a seguito di infezioni nosocomiali ed è a carico del danneggiato la prova dell’esistenza del contratto con la struttura e dell’aggravamento dellasituazione patologica, nonché del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione del personale della struttura,restando a carico di quest’ultima la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente nel rispetto deglistandard richiesti dalla disciplina di settore, e che l’evento lesivo sia stato determinato da un accadimento imprevistoed imprevedibile.
Tuttavia, nel caso di specie è ipotizzabile che l’eccezionalità della patologia, e quindi l’assenza di repartispecializzati, da un lato, la limitatezza obiettiva della strumentazione e dei posti letto in terapia intensiva (dovute allelimitazioni finanziarie e quindi non imputabili alla struttura sanitaria), dall’altro, integrino la prova liberatoria idoneaad esentare la struttura sanitaria da ogni addebito per danno derivante da inefficienza organizzativa.
Pare, invece, difficile escluderea priori la responsabilità con riferimento al danno da contagio in ambienteospedaliero. L’addebito sarà pacifico ove risultino una mancata sterilizzazione, o un inadeguato isolamento deireparti Covid.
Conclusioni e possibili tutele per le vittime o i loro familiari.
In conclusione, sembra che il sistema normativo vigente contengagià gli strumentiidonei a modulare la responsabilità dei sanitari in un contesto emergenziale.
Quanto al singolo medico, la pandemia può integrare il caso di forza maggiore(somministrazione di farmaci fuori etichetta, o mancato consenso informato), o rendere laprestazione “di speciale difficoltà” ex art. 2236 c.c., così da escludere in toto la responsabilità del medico.
Quanto alla struttura sanitaria, la responsabilitàdel danno da inefficiente organizzazione potrà essere esclusaadducendo la causa non imputabile (obiettiva limitatezza dei posti letto e strumentazione).
Ovviamente tale conclusione, mentre sembra in grado di tutelare quanti in prima linea hanno prestato la propria attività professionaleper fronteggiare l’emergenza, difficilmente può essere avvertita come equa da parte dei familiari dei pazienti danneggiati dalle inefficienze organizzative dei presidi ospedalieri. Questo anche e soprattutto alla luce del principio costituzionale fondamentale di solidarietà, che, nel caso di specie, intercorrerebbe tra paziente e medico, da un lato, nonché tra questi ultimi e lo Stato, dall’altro, soprattutto in un contesto emergenziale come quello attuale.
Ora, visto che la sussistenza della causa di giustificazione esclude l’illiceità dell’operato dei sanitari e, dunque, il diritto del paziente al risarcimento, una soluzione potrebbe essere quella di riconoscere un equo indennizzo ai soggetti danneggiati dalle carenzedi organizzazione in ambito ospedaliero.
In particolare, con riguardo alla responsabilità della struttura, potrebbe discutersi circa l’applicabilità dell’esimente dello stato di necessità (art. 2045 c.c.), secondo la quale “quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice”.
I presupposti per l’applicazione dell’esimente alla fattispecie in esame dovrebbero essere rappresentati da:(a) la condotta omissiva del sanitario, consistente nel mancato ricovero in terapia intensiva del paziente affetto daCovid 19 per carenza di posti letto, ovvero mancata somministrazione di farmaci o di dispositivi di protezioneindividuale per esaurimento degli stessi;(b) il danno (aggravamento patologia, ovvero il decesso) che il paziente abbia, in conseguenza, riportato;(c) la scusabilità della omissione, in virtù della “necessità (da parte del sanitario) di salvare sé o altri dal pericoloattuale di un danno grave alla persona”.L’esimente potrebbe trovare applicazione soprattutto laddove un medico,stante la carenza di posti, abbia preferito ad un paziente in uno stato non grave, uno in uno stato più avanzato dellamalattia. In tale circostanza, potrebbe non essere irragionevole ipotizzare che il mancato ricovero (cui, in ipotesi, siaseguito il decesso o un danno biologico in capo al paziente in condizioni inizialmente migliori e non ricoverato interapia intensiva) sia stato giustificato proprio dalla necessità, da parte dei sanitari, di salvare “altri da un pericoloattuale di un danno alla persona” di massima gravità e assolutamente non evitabile;(d) l’inevitabilità del pericolo, consistente nella assoluta imprevedibilità della situazione emergenziale.
Escluso l’atto illecito della struttura sanitaria proprio in ragionedella sussistenza dello stato di necessità, i pazienti (o i loro eredi) potranno beneficiare di un indennizzo, da quantificarsi sulla base di dati oggettivi, quali l’età deldanneggiato e la tipologia di danno (invalidità, ovvero decesso), e che parrebbe opportuno fosse finanziato da appositi fondi statali.
Avv. Camilla Alabiso