martedì, Aprile 23, 2024
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Critica e politica: Battaglia La Terra Borgese e Lagalla convergono al De Seta

Stare a confronto con Roberto Lagalla è un’esperienza che arricchisce- precisa Paolo Battaglia La Terra Borgese – si tratta di un uomo molto ampio, preparato, è una personalità poliedrica, perfino complessa, quando parla lui parla il Magnifico Rettore che è stato, parla il medico che è, è uno che ha alle spalle 450 pubblicazioni scientifiche e che attualmente è deputato della XVII legislatura dell’Assemblea Regionale Siciliana dove ricopre pure la carica di Assessore all’Istruzione e alla Formazione professionale.

Il Convegno sulla Disabilità del 25 Giugno si è rivelato un vero atanor, un’ottima opportunità per ricordare che l’arte figurativa è madre alla società: attraverso il segno nasce la comunicazione e inizia la società, quella in grado di tramandare conoscenza attraverso il segno, la scrittura, che fa dell’uomo la specie vivente dominante.

E mentre nel simbolismo e in mitologia l’arte sempre ha figurato deformando ma per ragioni di speculazioni filosofiche, nell’Arte figurativa, la pittura, la scultura e l’architettura hanno invece solo usato la disabilità, con lo scopo di conferire un maggiore risalto all’arte stessa, sia nelle iniziative espositive quanto nella cattiveria di singoli autori che di disabilità – altrui – hanno nutrito la propria fama e spesso il portafogli attraverso la committenza.

Certo non la pittura che narrava della peste del Trecento, delle disabilità provocate: quella pittura era e rimane di tipo documentaristico, e di grande valore storico, a tutt’oggi e per i posteri.

Ma a partire dal 1500, l’arte, con Bronzino che ritrae il nano Morgante della corte medicea, cessa di essere arte e si fa cartellonistica. Di fatto così diviene!

Se pure una certa storia dell’arte ci racconti la favoletta – del tutto insensata – di un Diego Velasquez nel Seicento e di un  Giacomo Ceruti nel Settecento, che darebbero alle persone affette da nanismo una dignità e un contegno che nessuno mai ha osato nella pittura.

Scemenze. Perché si vuole dunque compatire invece di riconoscere l’errore sociale.

E dobbiamo aggiungere – per quel che riguarda la c.d. inclusione – il mitologhema, per designare idee o formule che assumono valore di mito sociale o politico.

L’inclusione sociale – per definizione – rappresenta la condizione in cui tutti gli individui vivono in uno stato di equità e di pari opportunità.

Dunque il termine inclusione socialeserve solo a fare spaccio di idee stupefacenti, perché se taluni comparti della società – nel proprio preciso interesse o disinteresse – hanno prodotto degli esclusi, e beh, allora bisogna evitare questa cacofonia per parlare di redenzione sociale, quale riscatto di una società malata: quella società che nel suo realizzarsi, nel suo disabile manifestarsi, ha creato il diverso, e con esso la corbelleria sociale, perché o è sociale, dunque non escludente, o non è società.

D’altro canto quando uno nasce, nasce socializzato, in seno ad una società!

Il concetto di pari opportunità lo partorirono i Padri costituenti, art. 3; 37; 51; il resto è truffa. Perché si tratta di buonismo, e per giunta falso. Come se un Hitler parlasse di inclusione degli ebrei.

Dunque la società torni sui suoi passi intellettuali e la smetta di atteggiarsi con queste superiorità culturali nei confronti delle facoltà mentali e fisiche delle donne, delle minoranze, di questo, e di quello, e di tutti gli altri.

Pensi piuttosto a comportarsi. E bene.

Soprattutto quando definisce, addita, e si erge vocabolarista.

Per tornare all’arte: è merito del neuroscienziato Semir Zeki se questa si riscatta. È lui che fonda alla University College di Londra l’Istituto di Neuroestetica.

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