“Le minacce estorsive, comodamente via telefono dal carcere di Torino,
dall’esponente della ‘ndrangheta calabrese che opera in Piemonte, purtroppo non
certo un caso isolato, hanno un effetto devastante che si continua a sottovalutare:
lo scoraggiamento per le vittime delle mafie a denunciare e collaborare con i
magistrati. Le conseguenze sono il calo di denunce che – in ambienti dei giudici
antimafia – si quantifica tra il 5 e il 10 per cento in questi primi mesi dell’anno in
particolare in Calabria, Campania, Sicilia e Puglia”. A riferirlo è il segretario
generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo
aggiungendo che “quando viene meno la “garanzia” dello Stato alle vittime della
criminalità mafiosa ed organizzata di perseguire mandanti ed esecutori di
estorsioni e reati la lotta alla criminalità rischia una brutta battuta d’arresto. La
collaborazione con la giustizia si affievolisce perché scatta la paura. È la conferma
– dice ancora Di Giacomo – di quanto stiamo ripetendo da anni: la lotta alle mafie si
conduce a partire dal carcere dove sono detenuti capi clan e boss insieme ad
esponenti di spicco delle famiglie. E su questo il continuo ritrovamento di
telefonini in gran parte arrivati dal “cielo” (attraverso i droni) è il primo elemento
per interrompere, una volta per tutte, il “comando” dal carcere ai territori oltre
alle minacce ed estorsioni. Non si sottovaluti – afferma il segretario del Sindacato
Polizia Penitenziaria – che le mafie approfittando di questa fase di crisi
internazionale stanno concentrando i propri interessi sulle attività economiche e
produttive per acquisire alberghi, ristoranti, imprese, proprio come riprova il caso
dello ‘ndranghetista detenuto a Torino”.