venerdì, Marzo 29, 2024
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“Nomad” la personale dell’artista Paul Hurbutt a Palazzo Oneto di Sperlinga

L’attenzione agli incroci multiculturali, alle mescolanze etniche, ai sentimenti spesso contrastanti legati all’appartenenza a un territorio da parte dell’artista inglese Paul Harbutt fa sì che la Sicilia, con la sua stratificazione storica e culturale, sia il luogo ideale per accogliere la personale “Nomad”: l’opening della mostra, è in programma sabato 10 dicembre alle ore 18, nel settecentesco Palazzo Oneto di Sperlinga (via Bandiera 24), di recente restituito al suo splendore grazie al mecenatismo di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, che lo ha restaurato e adibito ad ambiente espositivo, già nel corso dell’edizione palermitana di Manifesta.

“Nomad” è la seconda importante esposizione in Italia dell’artista britannico,  dopo la  mostra romana al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese curata da Achille Bonito Oliva; la personale, con l’organizzazione di MLC Comunicazione di Maria Letizia Cassata, segna così il proseguimento del percorso espositivo all’interno delle sedi della rete museale del Bilotti, dopo Palermo sarà infatti accolta al Museo Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona di Rende.

Dai dipinti (in olio e tecnica mista) e i disegni (in inchiostro su carta) che ritraggono gli antenati della sua famiglia varia e multirazziale, alle sculture (in bronzo argentato) dedicate al tema dell’immigrazione, la personale rivela lo scenario immaginifico dell’artista nato in Inghilterra, che vive e lavora a New York.

Dal coinvolgimento personale con le proprie storie familiari alla riflessione sul limbo a cui i migranti sono condannati, la mostra è curata dal critico d’arte americano David Cohen, che sottolinea: “Paul Harbutt è un artista contemporaneo veramente internazionale con radici profonde e sostenute da un’estetica unicamente italiana. 

Formatosi nella sua nativa Londra nella tradizione della figurazione della School of London e profondamente consapevole delle possibilità Pop e concettuali che lo animano, Harbutt ha portato avanti la sua carriera in gran parte negli Stati Uniti, trascorrendo molti anni in Italia dove assorbe tecniche sia classiche che rinascimentali e un linguaggio figurativo arricchito dalla pittura Metafisica, da quella del Novecento e dalla “transavanguardia” degli anni ’80”. 

Nel corso del tempo l’interesse di Paul è cresciuto nel tentativo di comprendere i legami specifici fra la discendenza e la fortuita mescolanza razziale. A partire dagli anni 2000, Harbutt esplora l’iconografia e i motivi della migrazione globale, della diaspora, della dislocazione e dell’appropriazione culturale. “Sua moglie, la famosa ballerina e insegnante Kyralesa Claire Wiley – continua Cohen – discende da immigrati giapponesi negli Stati Uniti, internati durante la seconda guerra mondiale, lungo una linea di discendenza e antenati indigeni e schiavi lungo l’altra. I dipinti e le installazioni scultoree di Harbutt riuniscono, in una fusione unica, l’intreccio di radici familiari e stilistiche in interpretazioni giocose e provocatorie di ciò che si intende veramente per differenze”.

La memoria, la specificità culturale, le storie tramandate da una generazione a un’altra, ma anche le tradizioni popolari, i miti e le narrazioni popolari: sono questi a ispirare l’artista che sceglie di restituire pensieri e suggestioni in personaggi talvolta fiabeschi o comunque aperti a più interpretazioni.  

Osservando da vicino questi dipinti come attraverso un microscopio, è possibile imbattersi in  strati sottostanti che rimandano a elementi universali, come quello legato alla consapevolezza di essere tutti composti della stessa materia.

“Uso la pittura per esplorare le complessità della vita all’interno di una società multirazziale – sottolinea Paul Harbutt – e per riflettere su dove potrebbero incontrarsi i nostri terreni comuni. Essendo cresciuto da bambino a Londra negli anni ’50, ed essendo completamente immerso nella povertà delle conseguenze distruttive della seconda guerra mondiale, ho sperimentato in prima persona com’era essere infreddoliti e affamati. Eppure, ripensandoci, ritengo di essere stato benedetto, avevo un tetto sopra la testa e cibo in tavola, a differenza di tanti immigrati oggi. Pertanto, sono profondamente empatico con la loro pura disperazione”. 

Commosso dalla morte del poeta sudanese Abdel Wahab Latinos, annegato il 15 agosto 2020, insieme ad altri 50 immigrati nel Mar Mediterraneo che cercavano di raggiungere l’Europa su un piccolo gommone bianco, Paul Harbutt ha introdotto nel suo lessico delle immagini un motivo struggente, quello della valigia. Nella mano di un turista rappresenta la gioia e il cambiamento. Portata da un immigrato rappresenta la necessità, la sopravvivenza e la speranza di sopravvivere.

La mostra si protrarrà con ingresso libero fino al 28 febbraio, dal martedì alla domenica, dalle 11 alle 17.

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