Il Mons. Renna durante la celebrazione della messa dell’aurora del 4 febbraio
2024 ha dichiarato: “Mi è dispiaciuto, ieri, vedere ancora una volta dietro le candelore quelle
ragazze vestite di bianco. Già in passato un mio predecessore aveva vietato la loro
partecipazione. Ci sono tradizioni da tramandare ed altre sanno di paganesimo e
vanno sradicate. Sant’Agata è morta, non è andata a fare un ballo in discoteca. Per
onorarla è meglio indossare il sacco e recitare la preghiera semplice del santo
Rosario”.
La nostra apparizione, la mattina del 3 febbraio, rivendica la presenza del femminile
nella festa, siamo devote alla santa, alla donna e alla libertà. Sant’Agata ricordiamo
è morta non di morte naturale ma per mano di uomo. Non abbiamo mai mancato di
rispetto alla religiosità della festa e la nostra non è una “esibizione individualistica”
ma è relazione, comunità e aggregazione gioiosa. Consideriamo la danza una
manifestazione del sacro. Perché la danza è preghiera, è comunità, è liberazione.
La profetessa Miriam, sorella d’Aronne, esterna la sua esultanza e ringrazia Dio,
dopo il passaggio del Mar Rosso, “formando cori di danze” con le altre donne,
suonando i timpani e cantando (Cf Es 15,20).
Non smentiamo gli aspetti pagani della nostra presenza semplicemente perché fa
parte della storia, ricordando anche il lontano culto di Iside. Non vogliamo
cancellare le tracce del passato perché quello che siamo è una stratificazione di
memoria e diversità. Nel 2013 siamo ritornate omaggiando le ultime ‘Ntuppatedde
apparse nel 1868 quando furono insultate, fischiate e cacciate via in quanto donne
che rivendicavano la propria libertà. Il passato persiste nel presente e qui si pone di
nuovo una negazione che riguarda sempre la donna, vogliamo ritornare a negarle
come nei secoli passati perché adesso danzano con un velo e un fiore in mano? Il
nostro passo è così pericoloso?
È necessario confrontarsi, dialogare e capire le motivazioni antropologiche e sociali
che sottendono ad un movimento che perdura da più di dieci anni e che la gente
ormai aspetta.
Che piaccia o no “la festa è un pullulare di più realtà che in quei giorni si ritrovano
insieme a convivere nella pluralità del loro linguaggio”.
D’altronde la Festa di S.Agata perché si chiama festa e non Funerale di S.Agata?
Perché le candelore si annacano e dunque danzano circondate dalle bande con il
reportorio dei più disparati brani popolari? Perché i fuochi d’artificio?
Perché un proliferare di fumi, banchetti e bancarelle festose?
Perché è festa e la festa è dei cittadini e delle cittadine, e della devozione che
assume le forme della gioia come quelle della preghiera.
Non siamo affatto noi il problema e lo scandalo della festa di S.Agata.
Queste affermazioni che ci vogliono sradicare ci sembrano provenienti da un
oscuro e triste passato di repressioni oltre che anacronistiche in questo momento
storico, e ciò non fa che sottolineare l’importanza e la necessità sociale della nostra
presenza.